I disturbi legati all'evento cancro

Il trattamento psicoterapeutico del malato neoplastico rappresenta un significativo aspetto di ogni efficace ed umano programma terapeutico in oncologia, che tiene conto dei numerosi stress che tale malato deve affrontare e degli adattamenti inattesi che si susseguono in ogni fase della malattia, dalla fase diagnostica a quella terapeutica, a quella della remissione, a quella di un' eventuale aggravarsi della malattia o di una recidiva.( Freyberger, 1983)

Innanzi tutto è indispensabile un'opera di informazione e sensibilizzazione circa l'importanza della reazione alla malattia. essa infatti in certe circostanze può assumere un carattere psicopatologico è può influenzare negativamente il corso della malattia "fisica". Inoltre risulta importante valutare lo stato psicologico del paziente e prenderlo in considerazione nelle decisioni riguardanti le terapie mediche più appropriate alle sue condizioni. assicurando allo stesso la possibilità di ricevere un aiuto psicologico in caso di bisogno. Tale aiuto si rivela fondamentale sia per affrontare e gestire gli eventi stressanti a cui il paziente è sottoposto durante l'intero arco della malattia sia per il possibile ruolo che fattori di natura emozionale possono avere sul decorso, e quindi sulla prognosi della malattia. Per quanto concerne il primo punto e stato osservato che l'evenienza della comparsa di disturbi psichiatrici clinicamente rilevati nei pazienti di cancro è tutt'altro che rara, (Chiari e Nuzzo 1992). Gli stati confusionali, l'ansia e la depressione si collocano chiaramente nella nosologia psichiatrica classica. I Pazienti neoplastici, sono sottoposti a notevoil stress, vivono stati emotivi drammatici, e tendono spesso ad enfatizzare comuni stati d'animo, quali l’irritazione ed il dolore ( Hinton, 1983).

Negli anni più recenti la maggiore sensibilizzazione verso la rilevazione dei disturbi psichici associati alla malattia somatica ha condotto a più frequenti richieste di intervento. In effetti il problema è stabilire quanto queste reazioni rientrino in un range di normalità e quanto, invece, valicano la soglia di “disturbo” diventando di interesse psichiatrico, (Massie e Holland, 1990)

La psicologia oncologica si è occupata molto di questi aspetti con varie ricerche, evidenziando e classificando i problemi maggiori. Il disturbo più frequente è la depressione sia endogena che reattiva (Pancheri e Biondi 1987 ) ma non è rara la comparsa di quadri tipo sindrome cerebrale organica mentre sono poco frequenti le forme psicotiche e il suicidio (Levine, Silberfarb, et al; 1978).

La depressione

L'incidenza di disturbi di tipo depressivo associata alla patologia neoplastica è alta, ma nei diversi studi varia in modo comprensibile in rapporto ai criteri e alla modalità e agli strumenti con cui viene rilevata. Derogatis e collaboratori in uno studio condotto nel 1983 osservano che il 47% dei pazienti con cancro esaminati presentavano dei disordini psichiatrici clinicamente rilevabili, questa percentuale veniva recentemente confermata usando l' Hospital Anxiety and Depression Scale da uno studio condotto da Carrol, Kathol ed altri (1993). Secondo Peck 1972 la depressione affettiva è riscontrabile nel 74% dei soggetti

Endicott (1984) fa notare comunque come sia possibile una sovrastima della prevalenza della depressione dovuta all'attribuzione del quadro depressivo di sintomi somatici che possono essere legati al disturbo organico, ma Buckberg, Penman e Holland (1984), non considerando ai fini diagnostici i sintomi somatici, concludono che una depressione di una certa gravità è presente nel 43% dei soggetti con neoplasia. La depressione quindi è un'evenienza molto più frequente nei malati di cancro che non in altre malattie mediche gravi in cui è presente dal 22% al 33% (Fava, 1982)

La depressione dei pazienti neoplastici appare come un disturbo dell'umore in cui il nucleo depressivo è centrato sui sintomi di inerzia, marcata inibizione e stati di solitudine, di hopeless definita da Greene (1989) come pensieri e sentimenti negativi circa il proprio futuro.

Questo disturbo depressivo quanto a caratteri clinici si avvicina maggiormente ai quadri definiti di tipo situazionale, reattivo o nevrotico, ad andamento protratto nel tempo, scarsamente reagenti alle terapie antidepressive, farmacologiche e in rapporto a disturbi di personalità del soggetto (Chiari e Nuzzo 1992)

Uno studio recente condotto su persone che frequentavano un istituto di radiologia oncologica ha segnalato che 2/3 circa del gruppo lamentavano astenia, 1/3 aveva qualche problema gastrointestinale e nel 40% dei casi si verificavano effetti collaterali, l'80% circa si sentiva depresso, l'8% ebbe impulsi suicidi e qualcuno dichiarò che avrebbe voluto essere assistito meglio.

L’ ansia

Peck (1972 )su uno studio di 50 persone affette da cancro, afferma che soltanto uno dei 50 non risultò ansioso, 22 lo erano in forma grave, 19 moderatamente e 8 lievemente. Ben 37 pazienti erano depressi, 5 in forma grave e 16 moderatamente, 18 di loro soffrivano di sensi di colpa pensando di avere contribuito personalmente allo sviluppo della malattia, 22 si dimostrarono irritati, uno stato d'animo di solito collegato a quello ansioso in tale rilevamento. Chesser e Anderson (1975) hanno intervistato prima e dopo l'intervento alcune donne portatrici di nodulo mammario. In fase iniziale l'ansia era comune a tutte, dopo la scoperta del nodulo al seno le pazienti avevano effettuato diverse visite i cui esiti si erano fatti man mano sempre meno equivoci e al momento della richiesta di un loro consenso scritto per l'intervento avevano ricevuto più chiare informazioni sia a proposito della loro malattia che delle conseguenze legate alla terapia chirurgica, ad intervento avvenuto le donne la cui lesione era benigna uscivano dall'ospedale di lì a poco, contente conservando per ricordo soltanto una piccola incisione bioptica ben suturata; le altre, ora sicure della malignità insita in quel nodulo, avevano facce tristi e scure, alcune di loro di informarono del risultato espresso dal referto bioptico e della diagnosi accettando le risposte fornite loro senza chiedere altro al momento. È possibile che quando una persona si senta seriamente minacciata metta in atto un meccanismo di difesa come la negazione per poter far fronte alla situazione che si presenta come molto ansiosa.

Nel riportare uno studio Jelich et al (1993) fanno notare che contro ogni previsione delle donne che si dovevano sottoporre ad un intervento chirurgico per asportare un cancro sospettato maligno avessero un livello di ansia molto basso: al di sotto della popolazione normale questo fa ipotizzare agli autori come fosse in atto un meccanismo di negazione in queste donne, ultima ed unica risorsa per controllare l’ansia.

Inoltre sembra che questa ansia permanga anche dopo un lungo tempo che le pazzienti sono state dimesse dall’ ospedale e vada ad inficiare diverse dimensioni della vita.

Morris et al (1977) in uno studio misurarono l’adattamento psicologico in donne operate di tumore al seno con differente prognosi, e trovarono che: il 46% delle pazienti risultavano stressate a 3 mesi dall’intervento mentre a 1 anno la percentuale si riduceva ma restava sempre del 25%. queste donne erano ancora preoccupate per l’ esito della mastectomia e tale risultato non migliorò neanche dopo 2 anni.

Maguire, Lee et al. (1978)in uno studio simile riportano che a 1 anno dall’intervento le loro pazienti nella misura del 25% vivevano in uno stato ansioso o depresso a differenza del gruppo di controllo (casi benigni) in cui tali disturbi erano presenti solo nel 10% nel gruppo sperimentale poi 1/3 delle pazienti aveva interrotto ogni attività sessuale contro l’ 8% del controllo.

Halttunen (1992) segnala come la sensazione di essere guarite sia significativamente correlata all’assenza di limitazioni dovute ai postumi della malattia, nelle normali attività giornaliere, e nella vita di tutti i giorni, e come ci fosse una relazione nelle donne che avevano ripreso delle buone relazioni sociali anzi le avevano migliorate dopo l’ evento canceroso e la sensazione che il cancro le avesse in qualche modo “maturate”. Anche in questo studio viene fatto notare come il 50% delle pazienti dopo otto anni dall’ intervento avessero ancora delle forti preoccupazioni verso un’ eventuale ricaduta.

La compliance:

Il concetto di compliance, è stato introdotto nel 1972 e non in campo oncologico per caratterizzare il fenomeno della aderenza alle terapie. Essa viene definita da McMaster (1972) «aderenza, da parte del malato, alle prescrizioni mediche includendo in ciò, i farmaci, gli esami di laboratorio, i controlli clinici e quanto altro attenga alla cura della malattia».

La compliance è uno degli aspetti più importanti della pratica medica, per rilevanza statistica e conseguenze pratiche (Gianfriglia 1995) in effetti è stato dimostrato come i procesi di negazione e di diniego possono favorire il ritardo diagnostico e compromettere, l’ adesione del paziente con i trattamenti e con i controlli di follow-up.(Goldberg,1983; Green, 1983; Lewis, et al., 1983; Tarnaroff, et al., 1992; Costantini et al.,1993)

Meerwein (1989) afferma « é poco probabile che l’ ulteriore crescita di un tumore maligno ormai manifesto sia determinata soltanto dalle sue particolarità cinetico -cellulari e sia quindi del tutto indipendente dalla reazione del soggetto malato. La grande diversità dei tempi di sopravvivenza pure nel caso di un tipo di tumore identico sotto il profilo istologico, avente la stessa localizzazione, diagnosticato allo stesso stadio iniziale e sottoposto ad uguale terapia, inficia l’ ipotesi di uno sviluppo completamente autonomo.».

E stato dimostrato in effetti che a parità di certe condizioni cliniche e di terapie effettuate, i meccanismi di difesa posti in atto dal paziente, incidono sul decorso e quindi sulla prognosi della malattia e sul reinserimento nella vita di tutti i giorni. (Stoll, 1979; Mc Guire, 1979). Tali meccanismi inoltre entrano in gioco gia nel momento della scoperta di eventuali segnali premonitori.

Negli anni 30, in un gruppo di donne statunitensi che si erano accorte di avere un nodulo mammario, il 57% non aveva consultato il medico nei primi 3 mesi seguenti alla scoperta fatta.(Pack & Gallo, 1938). Altri studi condotti negli anno '50 e '60 fornirono le seguenti percentuali, sempre riferite alla scadenza dei 3 mesi: il 64% in Canada (Henderson & Al.,1958), il 62% in Inghilterra (Aitken-Swan, & Paterson, R. 1955), ed il 70% in Scozia (Henderson, 1966). Alcuni più recenti lavori hanno invece segnalato che solo il 23% (Cameron & Hilton, 1968) ed il 33% (Greer, 1974) delle donne colpite dal carcinoma aveva dilazionato il consulto medico oltre i 3 mesi.

La nausea e il vomito anticipatorio

In oncologia un fenomeno molto noto ed estremamente comune nei pazienti sottoposti a chemioterapia e lo sviluppo di una serie di sintomi, caratterizzati dalla comparsa di effetti collaterali della terapia con antiblastici, in particolare nausea e vomito associati a un marcato stato d’ansia prima della somministrazione dei farmaci.

Alla base di questo problema ci sarebbe secondo alcuni autori un fenomeno di condizionamento psicofisiologico che tenderebbe a mantenersi nel tempo e il semplice ricordare o immaginare la chemioterapia può reindurre la comparsa di nausea (Reed, Dadds 1993)

Questo fenomeno colpisce una percentuale di pazienti che gli studi tendono ad indicare tra il 20% e il 70% (Burish e Carey, 1986; Morrow, 1988; Carey, 1988 ).

I fattori che più sono associati alla comparsa di nausea e vomito anticipatorio sono secondo Morrow e Dobkin (1988) i seguenti

  • 1) elevata intensità, durata , e frequenza degli effetti collaterali post-trattamento
  • 2) elevata ansia di tratto, con in parte sentimenti di incontrollabilità ed inermità sugli eventi
  • 3) età piuttosto giovane
  • 4) ambiente con alto numero di pazienti sottoposti contemporaneamente, al trattamento.
  • Tale disturbo si presenta prevalentemente in due maniere differenti: 1) può essere evocato in maniera diretta da stimoli visivi (Flebo, ambiente ospedaliero, infermiere) od olfattivi (odori dei disinfettanti) 2) può venire elicitato da immagini mentali legate al ciclo chemioterapeutico e si presenta di norma per l’intera giornata antecedente la somministrazione (Lesko 1989)

    I 2/3 delle 38 donne intervistate da Lang ed collaboratori (1983) le quali a causa di un carcinoma mammario erano state sottoposte a chemioterapia con gravi effetti collaterali, retrospettivamente hanno sviluppato un atteggiamento positivo nei confronti della terapia e se necessario si sottoporrebbero nuovamente ad un analogo trattamento. Gli autori però raccomandano di offrire a queste pazienti un’ adeguata assistenza psicologica che induca una dettagliata informazione sulle possibilità di cura in relazione allo stadio della malattia e dell’età.

    Il dolore

    L' incidenza di sindromi dolorose associate al cancro varia dalla presenza di dolore moderato o intenso nel 15% dei pazienti con tumori maligni non metastatici (Daut e Cleeland, 1982) al 60-90% dei pazienti con cancro in fase avanzata, (Cleeland 1984).

    Le cause di tali sintomi dolorifici possono essere fatte risalire per una percentuale del 77% a invasione o compressione tumorale, per il 19% come conseguenze di terapie oncologiche specifiche ed per un 3% a cause indipendenti sia dal tumore che dalle terapie (Satta, 1989)

    È importante sottolineare come, attualmente il sintomo dolore sia interpretato in una prospettiva più complessa che non quella di evento esclusivamente nociocettivo, infatti il dolore come ogni stimolo o configurazione di stimoli mette in moto tre sistemi dell'organismo. Il sistema sensoriale modale specifico legato all'analisi della modalità dello stimolo, il sistema aspecifico di eccitazione, e il sistema di connotazione emozionale.( Ruggieri, 1987).

    Il dolore è dunque un fenomeno multidimensionale, le sue manifestazioni cambiano da individuo a individuo, in base a fattori culturali, educativi, cognitivi, emozionali (Satta, 1989). Per esempio Spiegel e Bloom in un loro studio (1983) documentarono l'influenza dell'umore e dei fattori cognitivi sul dolore. Allora uno stato dell'umore orientato in senso depressivo può favorire una riduzione della soglia per stimoli algogeni, cosi come interventi mirati a migliorare tali stati disforici possono avere degli effetti positivi su sintomatologie dolorose.